Se la malattia è causata da mobbing no al licenziamento per superamento del comporto - GMV Studio Legale

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Se la malattia è causata da mobbing no al licenziamento per superamento del comporto

 
 
 


Secondo il principio stabilito recentemente dalla Coirte di Cassazione (sentenza n. 22538/2013) il licenziamento del dipendente assentatosi per malattia provocata dal mobbing del datore di lavoro (consistito in contestazioni disciplinari, sanzioni e visite fiscali eccessive e sproporzionate e altri comportamenti di carattere persecutorio), è illegittimo, anche se il lavoratore ha superato il periodo di comporto.


 
 

Nel caso esaminato dalla Corte, un lavoratore era stato vessato da una serie di contestazioni disciplinari, seguite da “sanzioni che andavano dalla multa alla sospensione". Inoltre, durante la malattia, era stato sottoposto, nell’arco di 3 mesi, a ben 15 visite mediche di controllo e, poi, licenziato a seguito di nuova malattia (per una “crisi psicologica” determinata da un rimprovero da parte di un superiore) per superamento del periodo di comporto.

Sia in primo grado che in appello, il giudice del merito ha ritenuto che le sanzioni irrogate fossero sproporzionate o insussistenti sul piano disciplinare accertando inoltre. a mezzo di apposita consulenza, che le assenze per malattia erano diretta “conseguenza dell'ambiente lavorativo e della condotta aziendale" posta in essere ai danni del dipendente.

La Suprema Corte, rigettando il ricorso proposto dal datore di lavoro, ha confermato, da un lato, l’esistenza del nesso causale tra la malattia e le condizioni di lavoro e le sanzioni illegittime subite; dall’altro, l’illegittimità del licenziamento, non potendosi ritenere superato il comporto, attesa la riconducibilità delle assenze per malattia alla condotta aziendale.

Inoltre, la Cassazione ha chiarito che è possibile affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati, o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche accertare i fatti stessi (consulente percipiente). In tal caso, la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, essendo solo necessario che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.

 
 
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